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macrolibrarsi un circuito per lettori senza limiti

mercoledì 29 marzo 2017

Vitamine: la cura naturale delle malattie mentali autismo e schizofrenia

macrolibrarsi un circuito per lettori senza limiti

Una carenza di vitamina B12, la cobalamina, porta alla malattia mentale. L’uso della vitamina B3 guarì la supsicosi di migliaia di pazienti. la vitamina B6 sembra di essere un’agente sicuro, efficace per la cura la cura dei bambini autisticici.


IL CERVELLO
Di tutti gli organi del corpo umano, il cervello è il più sensibile alla propria composizione molecolare. Si sa che il buon funzionamento del cervello richiede le concentrazioni adeguate di molti tipi diversi di molecole. Si tratta dell’ ambiente fisico molecolare della mente. La fisiologia del cervello tende sempre a mantenere costante questo ambiente. Nel caso di persone che soffrono di scorbuto, la concentrazione di vitamina C nel cervello resta elevata, nonostante sia quasi completamente esaurita nel sangue ed in altri tessuti. Il cervello è talmente sensibile che muore se una persona è priva di ossigeno durante qualche minuto (come si vede in una curva elettroencefalica piatta), mentre gli altri organi sopravvivono.
Quando viene presa in considerazione la salute del resto del corpo abbiamo visto che l’individualità biochimica differenzia singolarmente tutte le persone tra di loro (capitolo 10). Si potrebbe forse argomentare che non valga lo stesso riguardo le quantità di sostanze essenziali somministrate al cervello? Dunque, dobbiamo chiederci quale ruolo gioca l’ambiente molecolare di ogni mente nello stabilire la singolarità della personalità di ogni individuo.
Questa semplice domanda ci porta a considerare la possibilità che il cervello possa subire un’avitaminosi cerebrale localizzata o un’altra malattia carenziale cerebrale localizzata. C’è la possibilità che alcuni esseri umani soffrano una specie di scorbuto cerebrale senza nessuna delle altre manifestazioni, un tipo di pellagra cerebrale o anemia perniciosa cerebrale. Zuckerkandl e Pauling (1962) segnalarono che la carenza di ogni vitamina, ogni aminoacido essenziale e tutti gli altri nutrienti essenziali rappresentano una malattia molecolare determinata che i nostri antenati impararono a controllare quando cominciarono a contrarla, selezionando una dieta terapeutica, e che ancora più essere controllata così. Le malattie carenziali localizzate sopramenzionate potrebbero essere malattie molecolari composte, coinvolgendo non solo la lesione originale, cioè la perdita della capacità per sintetizzare la sostanza vitale, ma anche un’altra lesione, che causa la diminuzione della velocità di trasporto attraverso una membrana, come la barriera emato-encefalica, all’organo interessato, o un’altra reazione perturbatrice. Queste deficienze nella somministrazione o nelle sintesi delle molecole cruciali potrebbero manifestarsi in sintomi diagnosticati come psicosi di un tipo o altro, che verrà trattata con intenti di modificare la condotta o la personalità del paziente.
Nella nona edizione della Encyclopaedia Britannica (1881) la demenza viene definita come una malattia cronica del cervello che produce sintomi cronici di disordine mentale. L’ autore dell’articolo, J. Batty Tuke, M.D., cattedratico di questa specialità nella Facoltà di Medicina di Edimburgo, segnalò che questa definizione “ha il vantaggio singolare di mettere davanti lo studente il fatto primordiale che la demenza è il risultato di una malattia del cervello, che non si tratta di un semplice disordine immateriale dell’intelletto. Nelle prime epoche della medicina, il carattere corporeo della demenza era generalmente riconosciuto, finchè l’ignoranza superstiziosa del medioevo cancellò le deduzioni scientifiche -anche se non sempre corrette- dei primi scrittori e vennero elaborate teorie sul suo carattere puramente psichico. Attualmente non è necessario combattere una tale teoria, visto che viene riconosciuto universalmente che il cervello è l’organo attraverso il quale si manifestano i fenomeni mentali e, di conseguenza, è impossibile concepire l’esistenza di una psiche demente in un cervello sano”.
Nel 1929, quando viene pubblicata la quattordicesima edizione della Encyclopaedia Britannica, la situazione era cambiata in grande parte dovuto allo sviluppo della psicoanalisi di Sigmund Freud. La definizione anteriore della demenza fu soppressa e la sostituirono due punti di vista: quello della scuola materialista, secondo la quale intervengono dei cambiamenti strutturali nel cervello, e quello della scuola psicogenica, secondo il quale la demenza è la conseguenza di anormalità dell’ego e che i cambiamenti strutturali osservati nel cervello, in certe forme di demenza, sono dovuti a una mentalità pervertita.
Ancora oggi, mezzo secolo più tardi, quando abbiamo ampie conoscenze sull’azione dei farmaci psicotropi sui tumori cerebrali, le lesioni cerebrali, i virus lenti, le carenze di proteine ed altri fattori che interessano la funzione del cervello, esiste chi pratica la psicoanalisi tralasciando il cervello e cercando di trattare solo l’ego.
Quando viene introdotto l’uso della vitamina B3 (bevendo il latte, a partire del 1920, o mangiando il pane fatto con farina arricchita con questa vitamina, a partire del 1940), guarì la supsicosi di migliaia di pazienti afflitti di pellagra e anche le manifestazioni fisiche della loro malattia. Per questo scopo bastano piccole dosi; la RDA del National Research Council (Consiglio Nazionale per la Ricerca) è di 17 mg al giorno (per un uomo che pesi 70 kg.). Nel 1939, Cleckley, Sydenstricker e Geeslin comunicarono i successi del trattamento di dicianove pazienti, e nel 1941, Sydenstricker e Cleckley segnalarono anche il successo del trattamento di ventinove pazienti che soffrivano di gravi sintomi psichiatrici, con l’uso di dosi relativamente forti di acido nicotinico (0,3 a 1,5 al giorno). Nessuno di questi pazienti presentava i sintomi fisici della pellagra né di nessun’altra avitaminosi. Più recentemente, molti altri ricercatori hanno informato sulla somministrazione di acido nicotinico o nicotinamide nella terapia delle malattie mentali. Spiccano tra loro i dottori Abram Hoffer e Humphry Osmond, i quali, dal 1952, hanno appoggiato l’impiego di forti dosi di acido nicotinico, oltre la terapia convenzionale, che loro stessi mettevano in pratica per la terapia della schizofrenia. I loro lavori provocarono il mio interesse per le vitamine. Più avanti, in questo capitolo, torneremo più estesamente su di loro.
Una carenza di vitamina B12, la cobalamina, qualunque sia la causa (anemia perniciosa, una carenza genetica, nei succhi gastrici, del fattore necessario per trasportare la vitamina al sangue; o l’infestazione dal Diphyllobothrium un verme cestodo del pesce, la cui necessità vitale della suddetta vitamina viene soddisfatta a spese dell’ospite; o un eccesso di flora batterica con un’elevata richiesta della suddetta vitamina) porta alla malattia mentale, spesso più pronunciata che le conseguenze fisiche. La malattia mentale associata all’anemia perniciosa appare spesso anni prima dello sviluppo dell’anemia. Tutte queste manifestazioni di una grave carenza di vitamina B12 vengono controllate, chiaramente, dalla somministrazione delle quantità adeguate della vitamina.
Esistono anche degli indizi epidemiologici che perfino una carenza moderata di vitamina B12 può portare a una malattia mentale. Edwin, Holten, Norum, Schrumpf e Skaug (1965) calcolarono la quantità di vitamina B12 nel siero di tutti i pazienti di più di trent’anni di età, ricoverati in un ospedale psichiatrico di Norvegia, durante un anno. Dei 396 pazienti, il 5,8% (23) presentava una concentrazione patologicamente bassa, cioè meno di 101 picogrammi per ml, e per il 9,6 % (38), la concentrazione era al disotto di quella normale (101 a 150 picogrammi per ml). La concentrazione normale è tra i 150 ed i 1300 picogrammi per ml. La frequenza di questi livelli patologicamente bassi e subnormali di vitamina B12 nel siero dei suddetti pazienti, cioè del 15,4%, è all’incirca trenta volte maggiore di quella che si presenta nella popolazione in genere, cioè circa il 0,5% (calcolo della frequenza di anemia perniciosa segnata nell’area, cioè il 9,3 per 100.000 persone all’anno). Altri ricercatori hanno anche informato di una maggiore frequenza di basse concentrazioni di vitamina B12 nel siero dei pazienti mentali che nella popolazione totale e hanno suggerito che la carenza di vitamina B12, comunque sia la causa, può portare alla malattia mentale.
Queste osservazioni indicano che un maggiore consumo di vitamina B12, così come di altre vitamine, dovrebbe far parte del trattamento di tutte le persone mentalmente malate. La vitamina può venir somministrata per via orale, eccetto nei casi di anemia perniciosa, per i quali sono necessarie le iniezioni.
Kubala e Katz (1960) hanno pubblicato il risultato di un’interessante ricerca sul
rapporto tra l’intelligenza, come viene indicato nei risultati delle prove standard sull’abilità mentale, e la concentrazione di acido ascorbico nel plasma sanguineo. I soggetti erano 351 alunni e studenti di quattro centri d’insegnamento (dal asilo nido all’università) di tre città. All’inizio sono stati divisi tra il gruppo di maggiore concentrazione di acido ascorbico (con più di 1,10 mg di acido ascorbico per 100 ml di plasma sanguineo) e quelli del gruppo di minore concentrazione (meno di 1,10 mg per ml), appoggiandosi nell’analisi di campioni di sangue. Equiparandoli per paia, su una base socioeconomica (entrate familiari, livello di educazione di padre e madre), sono stati selezionati settantadue soggetti in ogni gruppo. Nelle prove si osservò che il quoziente intellettivo (QI) medio del gruppo con maggiore concentrazione di acido ascorbico era più elevato di quello del gruppo con minore concentrazione in ogni uno dei quattro centri per le settantadue paia di soggetti, il QI medio è stato di 113,22 e 108,71 rispettivamente, con una differenza media di 4,51. La probabilità che una differenza di questa magnitudine potesse essere osservata in una prova simile, praticata su una popolazione uniforme, non arriva al 5%; di conseguenza, la differenza osservata nel QI medio è statisticamente significativa.
Ai soggetti di entrambi gruppi venne somministrato quindi succo d’arancia supplementare durante sei mesi e vennero ripetute le prove. Il QI medio nel caso del gruppo che inizialmente aveva la più elevata concentrazione di acido ascorbico aumentò molto poco (0,02%) mentre nel caso del gruppo con minore concentrazione l’aumento è stato di 3,54 unità di QI. Questa differenza nell’aumento è anche statisticamente significativa, con una probabilità che solo rappresenta una fluttuazione minore del 5% in una popolazione uniforme.
Si continuò con lo studio durante il secondo anno scolare, con trenta due paia (sessantaquattro soggetti) y con risultati simili. La relazione tra il QI medio e la concentrazione media di acido ascorbico nel plasma sanguineo, di questi sessantaquattro soggetti, sottomessi alle prove quattro volte durante un periodo di mesi, si vede nell’illustrazione della pagina seguente. I risultati indicano che il QI aumenta in 3,6 unità quando la concentrazione di acido ascorbico nel plasma sanguineo aumenta del 50% (da 1,03 a 1,55 mg per 100 ml). Per molti adulti questo aumento deriverebbe da un aumento di 50 mg al giorno di acido ascorbico ingerito (da 100 a 150 mg/giorno). Kubala e Katz conclusero che parte delle differenze nel risultato delle prove d’intelligenza viene determinato “dallo stato nutrizionale temporaneo della persona, almeno riguardo ai citrici ed altri prodotti che forniscono acido ascorbico”. Loro suggeriscono che un minore consumo di acido ascorbico diminuisce la capacità di attenzione e la vivacità.
L’illustrazione indica che si è raggiunta la capacità mentale massima con una concentrazione di 1,55 mg di acido ascorbico per 100 ml di plasma sanguineo. Questa concentrazione corrisponde, per un adulto di circa 70 kg, a una ingestione giornaliera di circa 180 mg di acido ascorbico. Concludo che affinchè la mente possa funzionare al massimo, l’ingestione giornaliera di acido ascorbico dovrebbe essere, almeno, tre volte maggiore dei 60 mg consigliati dal U. S. Food and Nutrition Board, e, almeno, nove volte i 20 mg consigliati dalle autorità britanniche corrispondenti. Maggiori quantità potrebbero avere un effetto più ampio.
Le persone si differenziano tra di loro riguardo la loro capacità di adattarsi al mondo, simpatizzare con altri e guadagnarsi la vita, contribuendo al lavoro necessario affinchè il mondo possa continuare il suo corso. Molta gente soffre di incapacità congenita, e questa si evidenzia nell’infanzia in termini di ritardo mentale, lento apprendimento, alterazione della capacità di pensare. Il problema del ritardo mentale è molto grave. Negli Stati Uniti, circa quindici milioni di persone sono deficienti mentali, includendo circa due milioni classificate come gravemente deficienti. Calcolo che il costo per curare questi ultimi sia di circa cinquantamila milioni di dollari annui. Il ritardo mentale causa sofferenza non solo alla persona che lo soffre, ma anche alla sua famiglia.
Si conoscono molte cause del ritardo mentale, e in alcune si sa come evitare o modificare
il danno genetico. Tale è il caso della fenilcetonuria provocata dall’incapacità di produrre l’enzima che catalizza la trasformazione dell’aminoacido fenilalanina in un altro aminoacido, la tirosina. Entrambi aminoacidi si trovano nelle proteine dei nostri alimenti. Un bambino che soffre di fenilcetonuria ha un’ecceso di fenilalanina e una carenza di tirosina nel sangue. Questa condizione interferisce con lo sviluppo e il funzionamento adeguati del cervello, originando il ritardo mentale. Se al bambino colpito di fenilcetonuria viene somministrato, poco dopo la nascita, una dieta speciale, povera in fenilalanina, durante svariati anni, non si produrrà un grave ritardo mentale.
La sindrome di Down (trisomia 21, mongolismo) deriva da una anomalia genetica nella quale le cellule di una persona contengono tre invece di due di uno dei più piccoli cromosomi, il numero 21. Quindi, le persone colpite di questa malattia tendono a produrre circa 50% in più di molti tipi di enzimi diversi, programmati dalle centinaia di geni di questo cromosoma. Di conseguenza, le suddette persone presentano molte anomalie: bassa statura, testa anormalmente grande e di forma inusuale, mani e piedi anormali, lingua lunga e protuberante e occhi tagliati a sghembo sotto pieghe epicanti, per cui la malattia è stata originalmente chiamata mongolismo. Circa una terza parte dei colpiti soffrono di malattie cardiache congenite e c’è una maggiore frequenza di leucemia acuta tra di loro, che spesso sfocia in una morte precoce. Quelli che sopravvivono fino l’età adulta mostrano un invecchiamento accelerato e muoiono generalmente tra i quaranta e i sessanta anni di età.
La gente che soffre la sindrome di Down è placida e affettuosa, ed i neonati di solito non piangono. Il loro ritardo mentale è acuto, con un quoziente intellettuale abituale di 50. Nasce circa uno tra duemila, da madri giovani, giungendo circa uno tra ventidue da madri di più di quarant’anni. La gente colpita dal sindrome di Down costituisce il maggiore gruppo di ritardati mentali ricoverati in case di cura negli Stati Uniti.
Un importante problema medico e scientifico consiste nel trovare una forma di trattare queste anomalie genetiche dalla nascita, per prevenire gran parte del ritardo mentale, così come le anormalità fisiche, come la bassa statura e l’apparenza inusuale. Credo che ora possiamo renderci conto che è possibile ottenere parzialmente questo obiettivo, con misure nutrizionali ed altre ortomolecolari. Anche una diminuzione parziale della gravità del ritardo mentale può essere molto importante. Un aumento nel quoziente intellettuale da 50 a 70 (normale basso) significa la differenza tra una vita dipendente da altri ed una vita indipendente e autosufficiente.
La Dottoressa Ruth F. Harrell, dall’Università Old Dominion, a Norfolk, Virginia, Stati Uniti, e i suoi collaboratori, Ruth Capp, Donald Davis, Julius Peerless e Leonard Ravitz, hanno pubblicato i risultati di una loro ricerca, a doppio cieco, sugli effetti ottenuti nel somministrare un miscuglio di dicianove vitamine e minerali a sedici bambini ritardati mentali tra i cinque e i quindici anni (sei bambini e dieci bambine) (Harrell et al., 1981). Il quoziente intellettuale iniziale del gruppo, misurato da tre o più psicologi, oscilava tra 17 e 70, con una media generale di 47,7. Si divisero i soggetti in due gruppi a caso. Durante i primi quattro mesi della ricerca a doppio cieco, ai sei bambini del primo gruppo vennero somministrate sei comprese di vitamine e minerali ogni giorno, ed agli altri dieci del secondo gruppo vennero somministrati comprese placebo; poi, durante quattro mesi addizionali a tutti i bambini venne prescritto comprese di vitamine e minerali.
Secondo Harrell, l’idea di questo esperimento è sorta dopo aver letto ciò che il professore Roger J. Williams, dell’Università di Texas -che nel 1933 aveva scoperto l’acido pantotenico-, suggeriva riguardo l’aiuto che un aumento nel consumo di nutrienti importanti potrebbe apportare per controllare qualche malattia genetica (Williams, 1956). Harrell portò avanti una prova esperimentale con un bambino di sette anni gravemente ritardato, che ancora doveva adoperare i pannolini, incapace di parlare e i cui quoziente intellettivo stimato era situato tra 25 e 30. Una biochimica, la dottoressa Mary B. Allen, concepì la formula di vitamine e minerali che figura nella tabella di questa pagina.
Con questo trattamento, il bambino cominciò a parlare e dopo qualche settimana cominciò a leggere e a scrivere ed ad agire normalmente. Due anni più tardi andava abbastanza bene a scuola e il suo quoziente intellettuale giungeva i 90. Allen aveva anche somministrato un’altra sostanza ortomolecolare, l’ormone tiroideo ai suoi pazienti; a quattordici dei sedici soggetti della ricerca di Harrell, venne somministrato anche tra 30 e 120 mg al giorno.
I principali risultati si possono vedere nella pagina seguente. Il gruppo che ingerì il supplemento durante otto mesi sperimentò un aumento costante, da46 a 61, nel quoziente d’intelligenza medio. L’altro gruppo non esperimentò dei cambiamenti durante i primi quattro mesi, quando gli venne somministrato il placebo; e dopo, un aumento da 49 a 59, durante i quattro mesi seguenti, quando gli venne somministrato il supplemento di vitamine e minerali.
Da questi risultati possiamo concludere che ci si può ragionevolmente aspettare che un bambino con ritardo mentale grave, raggiunga un aumento di 20 punti o più del suo quoziente intellettuale ingerendo supplementi di vitamine e minerali da un’età molto precoce.
  • Vitamina A palmitato 15 300 IU
  • Vitamina D (colacalciferolo) 300 IU
  • Mononitrato di tiamina 300 mg
  • Riboflavina 200 mg
  • Niacinamida 750 mg
  • Pantotenato di calcio 490 mg
  • Cloridrato di piridossina 350 mg
  • Cobalamina 1 000 mg
  • Acido folico 400 mg
  • Vitamina C (acido ascorbico) 1 500 mg
  • Vitamina E (succinato di d-a-tocoferolo) 600 IU
  • Magnesio (ossido) 300 mg
  • Calcio (carbonato) 400 mg
  • Zinco (ossido) 30 mg
  • Manganese (gluconato) 3 mg
  • Rame (gluconato) 1,75 mg
  • Ferro (fumarato ferroso) 7,5 mg
  • Fosfato di calcio (CaHPO4) 37,5 mg
  • Ioduro (KI) 0,15 mg
I maggiori aumenti individuali segnati da Harrell et al. sono stati di 24 punti (da 42 a 66) in otto mesi, e di 21 punti (50 a 71) in quattro mesi, sufficienti affinchè quei bambini potessero diventare autosufficienti nel futuro. Il supplemento di vitamine e minerali, composto da circa 30 volte la RDA di vitamina C, e buone quantità di altri nutrienti che migliora lo stato nutrizionale, trarrebbe dei vantaggi a qualsiasi persona che lo ingerisca, e consiglio che questa dieta nutrizionale migliorata sia amministrata ad ogni bambino ritardato mentale. Il costo di 180 comprese, cioè la provvigione per un mese, è inferiore ai 10 dollari e, quindi, è poco in confronto con altre spese necessarie per curare una persona mentalmente ritardata.
Tre dei bambini della ricerca di Harrell et al. soffrivano la sindrome di Down. I loro quozienti d’intelligenza iniziali erano rispettivamente di 42, 59 e 65, e gli aumenti all’ingerire il supplemento di vitamine e minerali e ormone tiroideo (per i due primi) sono stati di 24 e 11 (in otto mesi) e circa 10 punti (in quattro mesi), rispettivamente.
Non esiste nessun trattamento convenzionale riconosciuto per la sindrome di Down.
Il Dott. Henry Turkel, di Detroit, Michigan, Stati Uniti, è il medico che ha portato avanti i maggiori sforzi per migliorare questa condizione. Espose i risultati delle sue ricerche in una comunicazione al Select Committee on Nutrition and Human Needs of
the United States Senate, il cui presidente era allora il senatore George McGovern (Turkel, 1977), e, precedentemente, nel suo libro,New Hope for the Mentally Retarded-Stymied by the FDA (“Una nuova speranza per i ritardati mentali, ostacolata dal FDA”) (Turkel, 1972). Nel 1940, Turkel aveva iniziato a trattare i pazienti colpiti dalla sindrome di Down con compresse la cui composizione aveva ideato. Le suddette compresse contengono principalmente sostanze ortomolecolari -dieci vitamine, nove minerali, un aminoacido (acido glutamico), colina, inositolo, acido paraminobenzoico, ormoni tiroidei, acidi grassi insaturi ed enzimi digestivi-. Queste sostanze dovrebbero migliorare la salute dei pazienti. La loro preparazione contiene,tra l’altro, svariati farmaci, in dosi minori da quelle abituali. Uno di questi farmaci è il pentilenetetrazole, che stimola il sistema nervoso centrale. Un altro è l’aminofilina, stimolante del cuore. Non ho sufficiente conoscenza su farmaci per potere fare un commento sull’efficacia nei suddetti pazienti, ma esiste la possibilità che la sua azione come stimolanti sia benefica.
Conosco il Dott. Turkel e posso far fede della sua integrità e della sua convinzione. I risultati che segnala sono impressionanti. Molti bambini presentano una diminuzione delle anomalie nella crescita e sviluppo, specialmente quelle ossee. Il loro aspetto cambia e s’ indirizza verso la normalità. La loro capacità mentale e la loro condotta migliorano fino al punto di riuscire a lavorare e guadagnarsi la vita. Durante il periodo nel quale ingeriscono le compresse crescono velocemente e la crescita s’interrompe durante i lassi nei quali non le prendono.
Concludo che esiste poco pericolo che il suddetto trattamento, o il trattamento con i nutrienti supplementari, possa essere dannoso ed esistono delle prove a dimostrazione che i pazienti se ne avvantaggierebbero significativamente. Negli Stati Uniti, circa 300.000 persone soffrono la sindrome di Down. Credo che tutti -specialmente i più giovani – dovrebbero provare i supplementi nutrizionali, affinchè si possa cercare di sapere fino a che punto possono beneficiarli.
Turkel tratta i pazienti colpiti dalla sindrome di Down, nello stato di Michigan, ma il Food and Drug Administration non gli consente di inviare le sue compresse fuori dallo stato. Nel 1959, presentò al FDA una richiesta di autorizzazione per farmaci nuovi (necessaria perchè le sue compresse contengono alcuni farmaci). La richiesta è stata rifiutata, e altrettanto è successo in occasioni posteriori. Il direttore del National Institute of Neurological Diseases and Blindness (Istituto Nazionale per le Malattie Neurologiche e la Cecità, degli Stati Uniti), alludendo al trattamento di Turkel per i pazienti colpiti dalla sindrome di Down, scrisse che “teoricamente, e fondandosi negli effetti conosciuti dei suddetti farmaci, che includono vitamine, minerali ed altri farmaci, i nostri assessori hanno segnalato che, anche se non sono dannosi, dubitano che i suddetti farmaci abbiamo valore specifico nel trattamento del mongolismo” (Turkel, 1972, p. 123). L’ FDA, nel rifiutare la richiesta del nuovo farmaco, menzionò che “i fatti conosciuti sul mongolismo escludono la speranza ragionevole che i suoi prodotti possano beneficiare tale condizione, causata da un difetto nella struttura cellulare di base. Queste raccomandazioni, aggiunte alla lunga storia dell’incapacità della scienza medica di trovare un trattamento o una cura per il mongolismo, indicano che non ci sono speranze che abbia successo un trattamento fondato sul tipo di preparazioni che Lei intende prescrivere” (Turkel, 1972, p. 119).
Penso che questo atteggiamento da parte dei National Institutes of Health (NIH) e del FDA deriva dall’ignoranza, dal pregiudizio, dalla mancanza di conoscenza della natura delle vitamine e di altre sostanze ortomolecolari, e della mancanza di speranza o visione (sembrano di essere convinti che non si possa scoprire niente di nuovo).
L’autismo è una malattia genetica che si manifesta nei primi due o tre anni di vita in uno ogni tremila bambini circa (l’80% sono bambini). Il bambino autista si mantiene isolato, non sviluppa rapporti sociali con i suoi genitori o altre persone. Ha problemi di linguaggio, rifiutandosi di parlare o adoperando un linguaggio in maniera strana. Si attacca a rituali, rifiuta i cambiamenti e ha un insolito attaccamento agli oggetti. Il suo quoziente intellettuale è generalmente basso e può sviluppare attacchi di tipo epilettico. Quelli i cui quoziente intellettuale è leggermente più elevato possono trarre un qualche beneficio dalla psicoterapia e dell’educazione speciale.
Non esiste nessuna terapia convenzionale riconosciuta per l’autismo. Ciò nonostante, svariati ricercatori hanno segnalato che i supplementi vitaminici sono efficaci. Il Dottore Bernard Rimland, uno psicologo, direttore del Institute for Child Behavior Research (Istituto per la Ricerca sull’Atteggiamento Infantile), a San Diego, California, Stati Uniti, ha portato avanti l’esperimento più significativo in questo campo (Rimland, 1973; Rimland, Callaway e Dreyfus, 1977). Tramite i loro genitori, Rimland è riuscito a fare sì che 190 bambini autistici fossero studiati durante ventiquattro settimane. E’ stato richiesto ai genitori di ogni bambino di ottenere la cooperazione del suo medico o di un altro medico locale, per fornire supervisione medica e per formulare rapporti mensili sullo stato del bambino col trattamento vitaminico. Molti genitori intopparono con una resistenza talmente forte da parte dei medici che dovettero rinunciare; per cui il numero dei bambini della ricerca si ridusse da 300 a 190.
Dopo aver ingerito gradualmente le compresse, durante un periodo di cinque settimane, i bambini ne presero dieci al giorno durante dodici settimane. Dopo veniva un periodo senza trattamento, durante due settimane, continuato da due settimane d’ingestione giornaliera di dieci comprese. Il consumo giornaliero di nutrienti fornito dalle dieci comprese includeva 1 000 mg di vitamina C, 1 000 mg di niacinamida, 150 mg di piridossina, 5 mg di tiamina, 5 mg di riboflavina, 50 mg di acido pantotenico, 0,1mg di acido folico, 0,01 mg di vitamina B12, 30 mg di acido paraminobenzoico, 0,015 mg di biotina, 60 mg di colina, 60 mg di inositolo e 10 mg di ferro. Il costo delle vitamine giungeva circa i 10 dollari mensili.
I genitori ed i medici preparavano regolarmente i rapporti che venivano analizzati riguardo le migliorie, durante il periodo d’ingestione delle vitamine, e al peggioramento durante l’intervallo senza trattamento. La conclusione è stata che 86 dei 190 bambini (il 45%) mostrarono un grande miglioramento, un molto buon miglioramento o miglioramento significativo; 78 (il 41%) presentarono un miglioramento leggermente inferiore; 20 (l’11%) non mostrarono nessun cambiamento; e 6 (il 3%) peggiorarono. Quindi, circa il 75% dei bambini si avvantaggiò col supplemento nutrizionale, e solo il 3% peggiorò.
Esistevano indizi che la vitamina B6 aveva una importanza basilare, e allora si portò avanti una ricerca a doppio cieco con quindici bambini (Rimland et al., 1977). Durante l’esperimento, i bambini continuarono ad ingerire le stesse vitamine, minerali e farmaci che prendevano prima dall’inizio della ricerca. Durante un periodo, ogni bambino ingerì, sia vitamina B6 (75 a 800 mg al giorno, le dosi differivano a seconda del bambino) o un placebo, e dopo, durante un secondo periodo, il placebo o la vitamina B12. E’ stato giudicato che dieci dei quindici bambini si erano avvantaggiati con la vitamina B6 (punteggio medio di +24), uno non mostrò dei cambiamenti e quattro peggiorarono (punteggio medio -16). I ricercatori conclusero che la vitamina B6 sembra di essere un’agente sicuro, potenzialmente efficace per la cura dei bambini autistici. La mia opinione, fondata sugli esperimenti di Rimland e di altri, è che il trattamento ortomolecolare con vitamine e minerali dovrebbe essere provato con tutti i bambini autistici, vista la possibilità che ha di ottenere un significativo miglioramento, senza il pericolo di produrre effetti secondari dannosi, che agiscono come un freno alla sperimentazione con farmaci.
L’epilessia è uno scombussolamento ricorrente nel cervello che implica brevi accessi di alterazione della coscienza, generalmente un accesso di convulsioni, con perdita di coscienza e spasmi nelle estremità. Gli accessi convulsivi possono essere provocati dai farmaci e dalla mancanza di ossigeno, ma la causa della maggioranza degli attacchi epilettici è sconosciuta. Circa il 2% degli americani soffrono di epilessia. Il trattamento convenzionale consiste nell’uso di farmaci anticonvulsivi (difenilidantoina, fenobarbital e svariati altri). Questo trattamento è generalmente efficace, ma gli effetti secondari possono essere fastidiosi.
Nel suo esperimento sui supplementi nutrizionali e il ritardo mentale, Harrell notò che tre dei bambini con tendenza a accessi convulsivi non ne hanno avuto nessuno durante gli otto o quattro mesi nei quali ricevettero il supplemento di vitamine e minerali. Harrell studiò sette bambini in più con tendenza a accessi convulsivi, somministrandoli il supplemento durante un mese, periodo nel quale non ne hanno avuto nessuno. La sua richiesta al National Institutes of Mental Health per ottenere una sovvenzione adibita a finanziare degli esperimenti fu rifiutata.
Dovrebbe essere provato il trattamento nutrizionale nei bambini che tendono a soffrire degli accessi convulsivi. Giova generalmente la salute, e in molti casi, potrebbe controllare il problema dei bambini con tendenza a convulsioni così come i farmaci, senza gli effetti secondari sgradevoli.
I disturbi affettivi sono una forma di malattia mentale che implica una sensazione o emozione o disturbo che si manifesta per una risposta e una reazione inadeguata alle circostanze obiettive del momento. I disordini schizofrenici sono forme di disordini affettivi, con tendenza a essere cronici, e che implicano svariati sintomi psicotici, come deliri, allucinazioni e un peggioramento nel funzionamento generale durante lunghi periodi. Quasi tutti abbiamo dei momenti di tristezza, depressione e pena, dopo una morte o una delusione, e periodi di esaltazione dopo il successo o l’ottenimento di qualcosa. E’ soltanto quando questi momenti durano troppo tempo, quando l’umore è troppo estremo e quando la persona non risponde alle parole e agli atti tranquillizzanti ed altri sforzi per aiutare, che si può descrivere la persona come psicotica e colpita da un disturbo affettivo. La schizofrenia ed altri disturbi affettivi sono le principali malattie mentali. Si calcola che circa il 12% degli uomini e circa il 18% delle donne soffrono una qualche forma di disturbo affettivo, clinicamente significativo, durante la loro vita, e circa il 2% passano per uno o più episodi schizofrenici negli Stati Uniti.
I disturbi affettivi -depressioni, gioia, episodi schizofrenici- hanno cause molto svariate, come i farmaci (contracettivi steroidei, altri steroidi, L-dopa, reserpina, cocaina, tranquillanti, anfetamine, ecc.,) o malattie (influenza, epatite, mononucleosi, encefatite, tubercolosi, sifilide, sclerosi multiple, cancro, ecc.). Altre cause includono la carenza di vitamine (B1, B3, B6, B12), o reazioni allergiche ad alcuni alimenti, prodotti chimici e altri fattori ambientali (Hoffer e Osmond, 1960; Hawkins e Pauling, 1963; Cheraskin e Ringsdorf, 1974; Philpott, 1974; Pfeiffer, 1975; Dickey, 1976; Lesser, 1977). La migliore maniera di controllare queste psicosi è trovare ed eliminare le loro cause. Spesso, anche una migliore nutrizione aiuta.
Il maniacodepressivo si tratta generalmente con composti di litio. Questo elemento si trova nella crosta terrestre, in molte piccole quantità, 0,01%, molto inferiori al sodio, 2,8%, o al potassio, 2,6%. Lo ione di litio potrebbe influire sul sistema nervoso nell’interferire col movimento degli ioni di sodio e di potassio. Non si sa se il litio sia necessario per la vita e probabilmente non dovrebbe venir chiamata sostanza ortomolecolare.
Durante le due ultime decadi, moltissimi giovani hanno sviluppato psicosi per l’uso di farmaci che cambiano l’umore – eccitanti, tranquillanti, cocaina e droghe più dure, probabilmente anche la marihuana-. Molti si sono ristabiliti fino al punto di riuscire ad avere una vita normale con l’ingestione ottimale e regolare di vitamine e minerali.
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